Chiesa dei Santi Faustino e Giovita
La chiesa, dedicata ai santi patroni della città, venne eretta verso la fine del VI secolo dal vescovo Onorio; distrutta forse da un incendio, fu ricostruita dal vescovo Anfrido che nell’806 vi fece trasportare i corpi dei santi. Il vescovo Ramperto la consacrò nell’841 e chiamò ad officiarla i monaci benedettini.
Nuovamente ricostruita in epoca romanica, subì vari rimaneggiamenti finchè venne radicalmente demolita per far posto alla chiesa attuale, iniziata nel 1622 da Antonio e Domenico Comino.
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La facciata
L’elegante facciata marmorea, attribuita a Bernardo Fedreghini (1646-1717), è divisa in due ordini architettonici: dorico nella parte inferiore terminante con un frontone triangolare con uno stemma, e ionico in quella superiore completato da un frontone ricurvo ornato da obelischi e da una croce con le palme e la corona delmartirio.
Le statue nelle nicchie e l’altorilievo sopra il portale rappresentante il Martirio dei SS. Faustino e Giovita sono di Santo Calegari il Vecchio.
Il campanile conserva, fino alla prima cella campanaria, la forma e la struttura originarie (XII sec.).
Interno
L’interno attribuito a Giulio Todeschini è a tre navate delimitate da quattordici colonne monolitiche di ordine tuscanico, di cui otto binate; la navata centrale, più alta e coperta a botte, si apre sulle laterali attraverso archi che ritmano lo spazio in forma solenne.
Tutta la parte muraria è ornata a fresco, in gran parte ad opera della scuola bresciana del XVII secolo: sulla volta della navata principale, al centro delle straordinarie finte architettoniche realizzate da Tommaso Sandrini (1575-1630), si apre il medaglione sagomato con la Gloria dei SS. Faustino e Giovita di Antonio e Bernardino Gandino.
Sulle pareti e sulle volte delle navate laterali dominano gli affreschi a monocromo di Camillo Rama e le finte statue bronzee di Ottavio Amigoni. Lungo la navata destra si trovano l’altare della S.Croce, opera di Rodolfo Vantini, l’altare della Natività che ospita un capolavoro di Lattanzio Gambara (1530-1574) e la cappella col fonte battesimale realizzato in marmo da Claudio Botta nel 1952.
Alla sinistra del presbiterio si trova l’altare del Crocifisso con l’urna e le reliquie di un importante vescovo di Brescia del VI secolo, S.Onorio, qui collocate dopo la rimozione dell’altare a lui dedicato posto dove ora sorge il battistero. Si ritiene che S.Onorio sia stato il fondatore di un monastero femminile che sorgeva nei pressi dell’attuale Broletto e che abbia fatto costruire fuori dalle mura della città la primitiva basilica di S.Faustino Maggiore.
Proseguendo lungo la navata sinistra si trovano l’altare di S.Benedetto, la cui opera scultorea fu eseguita da Giovanni Carra, la cappella del Sacramento ornata da altare e tabernacolo a tempietto eseguiti dal Carra su progetto di Agostino Avanzo e l’altare della Beata Vergine con mensa e soasa settecentesche; la statua della Vergine è opera di Paolo Amatore.
Tra le colonne di sinistra è collocato lo stendardo processionale della Confraternita del Santissimo Sacramento del Romanino (1535) che raffigura da un lato la Risurrezione di Cristo e dall’altro S.Apollonio tra i Santi Faustino e Giovita.
L’ampio presbiterio dalla volta a cupola ribassata è decorato da affreschi del 1754 di Giandomenico Tiepolo che emergono tra le finte architetture di Girolamo Mingozzi Colonna. Da notare sempre nella zona presbiteriale sono il crocifisso ligneo (fine XV secolo), la marmorea arca in marmo bianco e nero di Antonio Carra destinata a contenere i corpi dei santi patroni (1623), le cantorie di legno intagliato e dorato (1735), l’organo dei fratelli Serassi (1843) con aggiunte del Porro (1906) e il coro ligneo della bottega Fasser (1800).
Pala della natività
Lattanzio Gambara (Brescia 1530-1574)
La Natività di Gesù, ante 1568
Olio su tela
In origine era la pala dell’altare maggiore da cui fu spostata nella collocazione attuale dopo l’incendio del 1743.
La scenografia, ravvivata mediante contrasti di luce e ombra, risulta mossa da numerosi personaggi che convergono intorno alla figura del Bambino, centro dell’intera composizione, prospetticamente rivolto verso la Vergine.
I personaggi sono colti in atteggiamenti diversi, ricchi di freschezza e di vitalità. La scena è inserita prospetticamente tra un colonnato corinzio con trabeazione a sinistra e un rustico diroccato a destra che indica simbolicamente il mondo antico rinnovato dalla nascita di Cristo. Sullo sfondo si apre un ampio paesaggio collinare con case, fortificazioni e un pastore con il gregge, mentre in alto una gloria di angeli ricorda l’annuncio divino.
Questa pala unitaria e composta mostra la sapienza del Gambara nell’impiego del linguaggio ormai ben strutturato del manierismo, nel bilanciare gesti e pose, nell’equilibrio delle figure e nel colonnato prospettico cui fanno riscontro le rovine.
Eleganza decorativa e ricerca di effetti scenografici caratterizzano l’opera di questo pittore bresciano, allievo di Giulio e Antonio Campi di Cremona, genero del Romanino con cui collaborò dal 1550, realizzando in città e in provincia numerosi cicli di affreschi in palazzi nobiliari e chiese.
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